Cronache di Gilda: Invito da Ovest

Ormai era un po’ di tempo che non percorreva quel viottolo nella periferia di Valdrakken, ma non si sentiva in colpa, non ce n’era motivo. Con la solita camminata lenta e affannosa, come quella di un vecchio storpio, percorreva la leggera discesa rimanendo nella parte interna della strada, ma guardando costantemente alla sua sinistra il sole delle Dragon Isles sorgere come se non avesse la minima voglia di farlo; non si era ancora abituato a quei precipizi e a quelle tonalità troppo amichevoli, niente lo faceva sentire al sicuro come Orgrimmar.

La visuale veniva interrotta solo da case e negozi color cenere in perfetto stile draconide e da alcuni alberi abbondantemente tendenti al bronzo e scevri della maggior parte delle foglie. Pioveva… scendeva quella pioggia fastidiosa, sottile e pungente, ma sembrava non importargli, il volto era nascosto nel cappuccio nero scolorito e tanto gli bastava per non preoccuparsi dell’acqua.

Avvicinandosi alla meta, il reietto portò la mano destra in un tasca della cintura ed estrasse un pesante mazzo di chiavi; alzò gli occhi rosso sangue verso il punto in cui doveva esserci la solita insegna in legno massello che identificava la sua bottega, ma non vide nulla… Solo il classico segno più chiaro di un addobbo mancante, sopra il doppio portone.

<<Mmh…>> L’espressione di disappunto era invisibile dietro alla bandana violacea tirata fin sopra il naso.

Le dita scelsero a memoria la chiave giusta e la infilarono nel chiavistello… Si rese subito conto che la porta era già aperta, ancora prima che il lungo cigolio accompagnasse la porta fino ad appoggiarsi al muro portante. Il primo piede scavalcò lentamente il piccolo gradino che delimitava l’ingresso, si guardò immediatamente ai lati, memore di troppe imboscate da parte dei Blu in vita sua.

Una luce rossastra, proveniente dal muro opposto all’entrata, proiettava le ombre di tavoli e sedie ed era l’unica cosa che permetteva agli occhi di non dover abituarsi al buio; avanzò lentamente non facendo caso né all’insolito torpore di una bottega, che dovrebbe essere rimasta chiusa per settimane, né al fumo classico della legna che brucia; il bancone che precedeva il varco, che portava al laboratorio davanti a lui, sembrava fissarlo immobile in attesa di una sua reazione a quella strana situazione.

Con le braccia lungo i fianchi alzò lentamente i palmi delle mani formando un angolo retto coi gomiti, dalle dita scheletriche cominciò a espandersi un aura nera che in brevissimo lo avvolse completamente e cancellò l’effetto di qualsiasi luce su di lui; avanzò ancora lasciandosi alle spalle il bancone e arrivò quasi all’altezza dell’arcata, gli occhi provarono a scrutare il minimo dettaglio all’interno della stanza prossima, rimbalzavano tra sedie, tavoli, mensole e scaffali ma furono le orecchie a salvargli il naso: il sibilo preciso e minaccioso che avvertì gli fece arretrare la testa di quei pochissimi, ma sufficienti, centimetri utili ad evitare la martellata caricata dall’alto verso il basso.

<<Ah… Sei tu prete…>> La voce graffiata e profonda aveva un tono forse scocciato e sicuramente rinfrancato, abbassò l’arma.

<<Maledetto orco.>> Rispose il non-morto con il suo tono debole e sospirato, attraversando la soglia del laboratorio in tutta tranquillità e ritraendo il suo velo oscuro.

<<Chi non muore si rivede…>>

<<… Disse lo zombie.>>

La bocca barbuta si spalancò in una grossa risata mentre l’orco camminava verso il suo banco di lavoro portandosi dietro il martellone da guerra, appoggiato sulla spalla destra. Posò la testa del martello vicino un angolo del banco, accanto ad una tavola di legno massello sulla quale erano abbozzati degli intagli.

<<Con l’insegna sembrava meno abbandonato questo posto.>>

<<Sei il solito esagerato… Sto lavorando a una cosa che spero vi piaccia.>>

Alla destra del tavolo c’era una lunga parete tappezzata di scaffali e armadietti in legno senza una vera logica di arredamento, era chiaro contenessero strumenti e materiali da lavoro. La parete era divisa a metà da un enorme camino in pietra acceso e scoppiettante, la luce che produceva era più che sufficiente per illuminare metà della spaziosa sala che accoglieva decine di postazioni di lavoro di diversa natura e genere; l’unica cosa che le accumunava erano degli alti sgabelli posti vicino ad ogni bancone messi a disposizione degli artigiani.

<<Sono stato in banca ieri sera…>> il pelle verde, con la faccia rivolta al suo lavoro, alzò gli occhi scavalcando il bordo degli occhiali per osservare l’amico.

<<Non voglio sapere come o con chi, ma grazie a te siamo ricchi.>> Un sorrisetto si allungò nell’angolo della zanna rotta.

<<Ho le mie conoscenze…>> avvicinandosi al camino allungò le mani verso il fuoco, girò appena la testa verso il guerriero <<… e poi con quei due spiccioli al massimo possiamo dire di non essere poveri.>>

Con il solito filo di voce, il reietto riprese a parlare dopo una breve pausa.

<<Io invece ieri ero al Roasted Ram e ho sentito cose interessanti.>> La faccia, fosse stata di un colorito tendente al vivo, sarebbe risultata più luminosa agli occhi dell’orco.

<<Quanto interessanti?>> ora il viso era del tutto rivolto verso il collega, le possenti braccia appoggiate sul bancone fino al gomito.

<<Molto… Strani movimenti ad ovest, le voci parlano di problemi nel Sogno di Smeraldo.>>

Ritrasse le mani dalla fonte di calore e si mise di fronte a lui, a separarli c’era solo il tavolo da lavoro dell’orco.

<<Roba seria, dovremo dirlo agli altri.>>

<<Gli altri!? Li hai più rivisti?>> Il reietto aggrottò la fronte in un misto di dubbio e incredulità.

Con un movimento studiato del mento, l’orco indicò la parte più in ombra del laboratorio. Il sacerdote ruotò testa e busto fino alla vita guardando nella direzione suggerita; mentre alcune postazioni erano del tutto prive di vita e libere da ogni strumento le altre, quelle suggeritegli dal Gran Mastro, mostravano ben più di un piano coperto di polvere. Calderoni, rotoli di pergamena, incudini e mortai, pezze di stoffa e pietre grezze… I tavoli erano pieni degli oggetti che lui stesso aveva risposto nel magazzino qualche mese prima, lesse armonia in quel caos. Si girò nuovamente verso l’altro presente.

<<Ci sono tutti?>>

<<Anche qualcuno in più>>

Udirono entrambi il doppio portone dell’ingresso richiudersi sbattendo.

Arrostisco allo stesso modo boss e bistecche. Bevo vino e guido un gigantesco pickup. Orgoglioso portatore di gorgia fiorentina.